La terribile sentenza contro Riccola di Puccio di Pisa, accusata di stregoneria e condannata a morte dal Capitano del Popolo di Perugia nel 1347

Perugia, Archivio di Stato, Comune di Perugia, Capitano del Popolo, reg. 290, c. 67r

Registrazione del processo di Riccola; sul margine il riferimento all’esecuzione della pena capitale mediante il rogo

Chalet

viale Carlo Manuali

Riccola di Puccio fu accusata di stregoneria e morì arsa sul rogo a Perugia il 14 giugno 1374. Molto probabilmente Riccola era una donna sola, senza marito, infatti solo il patronimico accompagna il suo nome e nessuna notizia su possibili parenti trapela dalle carte. Una donna nubile, senza parenti e certamente povera: in sede processuale la sua debolezza nei confronti dei testimoni che la accusavano e dei giudici non avrebbe potuto essere maggiore.

 Riccola fu accusata di compiere riti di magia erotica sia per sé sia, più spesso, per le sue clienti, donne sole che soffrivano la solitudine o la trascuratezza dei propri mariti: si limitava ad operare per suscitare odio o amore, repulsione o desiderio, non preparava pozioni mortali, non curava e non guariva e quindi non recava danno nella persona a nessuno.

La donna ammise davanti al giudice di essere colpevole di quanto la si accusava e confessò i propri crimini. Conoscendo le modalità con le quali erano estorte confessioni per reati di questo tipo, non è possibile però sapere se in effetti Ricola avesse evocato il demonio o meno, né si ricava la sua consapevolezza e intenzionalità.

Avendo confessato, il 3 marzo 1347 Riccola fu condannata dal Capitano del Popolo a pagare al comune di Perugia milleduecento lire di denari perugini, una pena estremamente onerosa, a cui venne aggiunta una pesante precisazione: se entro dieci giorni Riccola non svesse versato la somma, avrebbe pagato con la sua stessa vita. La donna non possedeva la somma che l’avrebbe salvata dal rogo e nessuno pagò per lei, tanto che pochi giorni dopo venne bruciata viva.

 Dalla vicenda tragica di Riccola emerge quella che sarà la condizione comune delle molte donne chiamate nei tribunali a rispondere di maleficium: l’immagine della strega, donna sola, spesso anziana che non è uno stereotipo costruito a tavolino da trattatisti o demonologi, né la ripresa di arcaiche figure. Le donne che vengono portate in giudizio, salvo poche eccezioni, hanno proprio questo volto.

In tutto il documento il riferimento è al processo edito da U. Ugolini, La stregoneria a Perugia e in Umbria nel Medioevo, «Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’Umbria», 84 (1987), pp. 30-38.

Jessica Passagrilli