Pizzicagnole, fornaie, lavandaie e tessitrici nella Perugia comunale (secc. XIII-XIV)

Perugia, Archivio di Stato, Statuti del Comune di Perugia, Statuto 1 1279, cc. 24v e 25r

Due capitoli dello Statuto cittadino del 1279 nei quali sono citati fornai e fornaie, panettieri e panettiere.

Priorità in tavola

via dei Priori, 20

Siamo abituati a pensare che la donna nella società medievale fosse esclusa dall’attività lavorativa e chiusa tra le mura della propria casa o di un luogo sacro; se si analizzano gli statuti del Comune di Perugia è possibile vedere tuttavia come esistessero delle attività “femminili” o anche ‟al femminile”, nelle quali le donne erano parificate ai colleghi uomini in materia di obblighi e di pene.

Lo statuto di Perugia del 1279 regolamenta l’attività di lavoratrici coinvolte in vario modo nel processo di preparazione e cottura del pane. Vi sono fornarii et fornarie, che si occupavano della cottura del pane al forno, e clibanarii et clibanarie con il clibanus, un utensile simile a un grande coperchio sotto il quale veniva messo a cuocere il pane (cap. 145); per entrambi, uomini e donne, vengono indicate i medesimi obblighi, le stesse regole e le stesse pene per chi contravviene: sono obbligati a cuocere bene il pane e possono tenere per sé un pane ogni trenta cotti; anche in caso di frode la pena è la stessa.

A fornai e fornaie si aggiungevano panicoculi et panicocule che si occupavano della preparazione e della vendita del pane, ma non della cottura. Lo statuto stabilisce che uomini e donne vendano il pane con il giusto peso e che guadagnino due soldi per ogni corba; anche in questo caso un’eventuale trasgressione della norma conduce alla stessa pena. Il pane, per poter essere venuto, deve essere coperto con un panno (tipica norma di igiene) (cap. 147).

Stessa situazione di parità di diritti, doveri e pene per chi contravviene si legge nel capitolo 148, che riguarda le tabernarie e piçicarelle (cap. 148), ossia venditrici di diversi generi alimentari quali carni, frutta, verdura e vino, anche cotti, e, nel primo caso, anche addette all’ospitalità di forestieri; qui tuttavia, differentemente dai colleghi uomini, le donne possono svolgere la loro attività a patto di non filare contemporaneamente e di non tenere bambini nei luoghi in cui si vendono beni commestibili: una chiara spia della difficoltà per le donne di bassa condizione, quali erano le taverniere e le pizzicagnole, di coniugare lavoro e cura dei figli, a cui si sommava – evidentemente – in taluni casi una ulteriore attività, come quella della filatura.

Nello statuto del comune di Perugia del 1342 si ritrovano molte di queste “attività al femminile”: fornaie, panicocole, pizicarelle, camangiaiuole (venditrici di verdura) e taverniere vengono trattate ancora senza discriminazioni particolari, sia negli obblighi che nelle pene previste per eventuali violazioni. Ritorna inoltre, nel libro IV cap. 12, un divieto già presente nel cap. 148 dello statuto del 1279: è vietato alle donne di filare in quei luoghi in cui è presente del cibo destinato alla vendita. Questa insistenza sul filare indica come tale attività fosse forse quella “più tipicamente femminile” nella società medievale, insieme alla tessitura che, tuttavia, compare regolamentata solo in uno statuto, quello di Gualdo Cattaneo, in cui viene indicato il salario delle tessitrici.

Simone Piselli