La testimonianza di Maristella e Manilia contro il priore del ospedale lebbrosario di Colle

Perugia, Archivio di Stato, Giudiziario antico, Podestà, 2 [Liber Petri Parentii], cc. 337rv-338r

La testimonianza di Maristella e Manila viene fornita durante il processo contro il priore.
Nell’immagine le tre carte nelle quali il notaio del giudice del Podestà registra fedelmente le affermazioni delle testimoni e dell’accusato.

Stranger’s Corner

piazza Cavallotti, 9

Il comune di Perugia, prima del 1216, lungo la via regale che, uscendo da porta S. Pietro, portava ad Assisi, aveva costruito sul colle poco lontano dal Tevere e dal ponte di S. Giovanni, proprio sul nuovo confine con il contado assisano, un grande lebbrosario, chiamato appunto l’ospedale di Colle, dove venivano segregati, per la loro malattia, uomini e donne infecti.

In questo luogo di sofferenza ed emarginazione, tra gli ultimi fra gli ultimi, due donne lebbrose riusciranno a tramandare i loro nomi fino ad oggi grazie ad un atto di inusuale coraggio civile.

Siamo nel 1262 e il Comune decide di intentare causa contro il priore dello stesso lebbrosario, accusato di appropriazione indebita di beni comuni.

 C’è dunque un priore disonesto, Saccente che, in probabile collusione con il camerario Bartolo, viene accusato di aver usato e abusato dei beni dell’ospedale per il proprio tornaconto e di non aver ottemperato all’obbligo di redigere gli inventari così come invece facere debuit. Ma, oltre alle granaglie c’è poi un altro oggetto del contendere, un prezioso drappo serico scomparso, una purpura di gran valore, donata personalmente da Innocenzo IV alla chiesa di S. Maria. Della scomparsa è accusato sempre il priore che, balbettando quasi le proprie giustificazioni, dice di non ricordare bene, ma che semmai fu il camerario Bartolo che se ne impossessò anche se per gli interessi dell’ospedale, visto che doveva essere dato in pegno al giudice per pagare le cause in cui lo stesso ospedale veniva coinvolto. Ma le varie testimonianze non concordano e se molti tergiversano e dichiarano di non saperne nulla, così non è per le donne lebbrose che, decisamente agguerrite, parlano invece di questo e degli altri capi d’accusa con dovizia di particolari. La prima, Maristella, dichiara di essere stata personalmente presente quando il papa aveva donato all’altare di S. Maria quel pallio che poi il priore aveva preso per sé: «accepit Sançente prior dicti hospitalis et habuit penes se» ed un’altra lebbrosa, Manilia  aggiunge di aver visto, sotto l’ulmo leprosarum, il priore trattare con la sorella del camerario Bartolo, la vendita di una casa nel borgo di S. Pietro per 25 libre, ed allora, consapevole delle sue malversazioni, conclude «quod vult quod expellatur dictus prior propter mala que fecit». E così sarà. Grazie soprattutto alle testimonianze delle due donne, il priore infedele verrà destituito con l’ordine di rifondere il danno.

Paola Monacchia